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Si calcola che su oltre 7 milioni di persone affette da ipoacusia, solo 700 mila portino gli apparecchi acustici. Non solo: l’età media di chi ha una protesi acustica nel nostro Paese è di 74 anni contro i 60,5 anni dei Paesi europei.

Oggi in Italia gli adulti non vengono sottoposti a regolari esami dell’udito nell’ambito dei normali controlli medici. Fra coloro ai quali, in seguito a test uditivi, viene diagnosticata un’ipoacusia da severa a profonda, solo pochi vengono inviati a uno specialista per stabilire quale sia la soluzione migliore per loro, quale protesi ed eventualmente anche quale impianto cocleare.

E inoltre molto influisce il fattore personale. C’è infatti ancora un grosso pregiudizio nei confronti della sordità, che viene vista come una menomazione di cui vergognarsi perché si pensa che sia sinonimo di vecchiaia e di declino cognitivo. Perciò specialmente le persone di mezza età fanno fatica ad accettare gli apparecchi acustici, a differenza di quanto accade per gli occhiali; questo porta spesso ad un notevole ritardo nell’acquisto di protesi, a cui magari ricorrono i più anziani, con la conseguenza di un sempre maggiore deterioramento della capacità di ascolto.

Eppure ormai le protesi acustiche digitali, tecnologicamente avanzate e paragonabili a piccoli computer capaci di garantire una notevole qualità del suono, hanno raggiunto dimensioni quasi invisibili, come tante pubblicità di adesso sottolineano per cancellare l’idea di un apparecchio ingombrante e antiestetico.

Succede poi che almeno un terzo di chi possiede un apparecchio acustico lo sottoutilizza, anche perché magari si è deciso a metterlo quando la perdita uditiva si era accentuata troppo per essere corretta in maniera adeguata e aveva già inciso anche sulle capacità cerebrali.

Studi sempre più frequenti stanno dimostrando infatti come ci sia un legame tra perdita uditiva non curata e invecchiamento cerebrale; la sordità provoca isolamento sociale e depressione e impoverisce le aree legate al linguaggio e alla memoria; può portare, o comunque accelerare la demenza senile.

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