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di Rita TAZZARI

Lo screening neonatale consente di stabilire fin dai primi giorni di vita del bambino la presenza di un disturbo dell’udito. Nel caso in cui il sospetto venisse confermato sarà possibile effettuare una diagnosi di ipoacusia che a seconda del grado di severità si differenzierà in ipoacusia lieve compresa tra i 20 e 40 dB, media tra i 40 e 70, grave tra i 70 e i 90 o profonda oltre i 90 dB.

La diagnosi funzionale ed eziologica ovviamente è di pertinenza del medico specialista cui spetta il compito di informare i genitori e di individuare le strategie più idonee per affrontare il problema del loro bambino. 

Qualora fosse necessario in questa prima fase applicare la protesi acustica il medico, sulla base dei dati emersi dagli accertamenti diagnostici, procederà con la prescrizione e ne stabilirà i parametri adeguati. In base all’entità e al tipo di perdita uditiva si determina un primo orientamento sul tipo di protesi necessaria.

La famiglia si rivolgerà direttamente all’audioprotesista che a sua volta provvederà a fornire il presidio protesico e a seguirne le fasi di adattamento e le conseguenti regolazioni nei primi mesi.

Fondamentale risulta essere la presa in carico riabilitativa che deve essere multidisciplinare e che deve necessariamente coinvolgere le figure professionali che con tempi e modalità diverse si dovranno occupare del bambino ipoacusico e più precisamente l’audiologo-foniatra, il pediatra, il neuropsichiatra infantile, lo psicologo, l’audiometrista, l’audioprotesista e naturalmente il logopedista.

Il logopedista rappresenta sicuramente l’elemento trainante tra le figure sanitarie che si occupano del bambino ipoacusico. Il coinvolgimento deve avvenire il più precocemente possibile indipendentemente dall’età, non esiste un bambino troppo piccolo. Ovviamente dobbiamo abituarci ad uscire dai vecchi schemi che prevedevano un intervento diretto sul bambino con sedute plurisettimanali con genitori spettatori che a casa riproponevano pari pari quello che nella seduta terapeutica veniva “somministrato” al bambino.

Il logopedista entra in contatto in primis con la famiglia e dai primi incontri si cerca di instaurare un rapporto di fiducia reciproco che consente ai genitori di esprimere i dubbi, i timori, le angosce ma anche le speranze e le aspettative.  Il logopedista, che non può essere investito di un potere taumaturgico, dal canto suo deve ascoltare, consigliare, contenere le ansie e le eccessive aspettative dei genitori e proporre loro le strategie efficaci per stimolare l’ascolto e gli aspetti comunicativi adeguati.

Non tutti i bambini hanno gli stessi tempi di sviluppo e anche se l’ipoacusia può essere il denominatore comune non esiste un bambino uguale a un altro. Ognuno ha la sua storia determinata da cause e fattori diversi che determinano un percorso prognostico e riabilitativo individuale. E’ molto importante che i genitori capiscano che, soprattutto se il bambino è molto piccolo, non è possibile stabilire a priori come sarà la sua evoluzione. Per questo è fondamentale quando si intraprende l’iter protesico e abilitativo porre obiettivi a breve e lungo termine e fissare e condividere con i familiari le modalità, gli strumenti e i tempi più idonei per il raggiungimento degli obiettivi stessi.

La frequenza e la tipologia degli incontri verrà stabilita in base alla gravità e alle specifiche necessità in accordo con le altre figure professionali appartenenti al team che ha in carico il piccolo paziente.

Infatti in questa fase è molto importante che il logopedista oltre agli incontri con i genitori e alle valutazioni e osservazioni dei comportamenti del bambino mantenga contatti regolari con tutti i professionisti che ruotano attorno a lui e alla sua famiglia:

– con l’audioprotesista per verificare insieme se la protesi appena applicata necessita di aggiustamenti e tarature diverse.  E’ uno scambio utile a entrambi i professionisti e consente di arrivare in tempi più rapidi ai risultati desiderati;

– con il neuropsichiatra infantile attraverso momenti specifici di confronto per valutare lo sviluppo evolutivo del bambino, per monitorarne gli atteggiamenti comportamentali e per valutarne le capacità cognitive. Conoscere questi aspetti è fondamentale per impostare ed eventualmente modificare il progetto terapeutico in itinere;

– con l’audiometrista per programmare attività ludiche che consentano di determinare il prima possibile una soglia audiometrica con le protesi. Se il Centro diagnostico è abbastanza vicino si possono fissare appuntamenti ravvicinati per condizionare il bambino e verificare con gli strumenti adeguati la resa protesica;

– con il medico referente del Servizio di Audiologia. Un feedback regolare tra logopedista e audiologo-foniatra è molto importante perché consente di monitorare l’efficacia della protesi e i suoi effetti sull’iter riabilitativo. Se questi risultati sono scadenti è bene intraprendere nel più breve tempo possibile, ovviamente nei limiti di età adeguati, il percorso verso l’impianto cocleare. Anche in questa eventuale fase di attesa il trattamento logopedico deve essere continuato;

– con il logopedista del Centro o Servizio di Audiologia referente che ha il compito di valutare durante i controlli periodici effettuati al bambino le performances comunicative e percettive raggiunte. Il rapporto tra i due colleghi non deve essere vissuto come una prevaricazione o una sudditanza ma come un confronto aperto che prevede uno scambio di informazioni e di esperienze da parte di entrambi.

I primi impianti cocleari hanno suscitato molta perplessità e diffidenza e a volte abbiamo assistito a una sorta di ostruzionismo da parte di alcuni logopedisti, anche di alcuni medici, che erano comprensibilmente preoccupati. In realtà poi i risultati ottenuti hanno vinto le resistenze iniziali e dopo trent’anni crediamo che nessuno possa mettere in dubbio la validità di questa tecnologia che ha notevolmente migliorato la qualità di vita dei soggetti ipoacusici e delle loro famiglie. 

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